Mondiali, gli arabi tornano alla carica: nel mirino la competizione del 2034, c’è tempo e un piano ben preciso. I possibili sviluppi.
Il Mondiale è un obiettivo per chi lo gioca, non solo in funzione della competizione ma anche e soprattutto rispetto alla vetrina che garantisce a calciatori e organizzatori, ma anche e soprattutto per chi lo organizza. Un Campionato del Mondo garantisce tutta una serie di cose tra cui le agevolazioni in fatto di opere pubbliche. Basti pensare che Italia ’90 – fra le altre cose – permise al Paese di rinnovare gli impianti e la viabilità legata ad essi: la metamorfosi dell’Olimpico si deve – in parte – a quel torneo.
Di “notti magiche” ne son seguite altre, ma la sostanza non è cambiata. Un Mondiale è veicolo di sport, storia, tradizione ma soprattutto economia. Il restyling al Paese passa attraverso un evento visto da tutti. Per questo il Qatar, nell’ultima edizione del Campionato del Mondo, ha dato il massimo per fornire un’immagine positiva del Paese. Resta da capire se ci sia riuscita davvero tra diritti calpestati e presunte accuse di lavoro minorile e intolleranza, ma queste sono argomentazioni che andranno discusse lontano dal rettangolo di gioco.
Mondiali, gli arabi pronti all’assalto: il piano per il 2030 o 2034
Sul campo, invece, vanno gli esponenti delle squadre e i collaboratori: una macchina che vale miliardi, tanto in uscita quanto in entrata. Ecco perchè non c’è tempo per esitare: determinati discorsi vanno affrontati subito. Gli arabi ci riprovano: vogliono mettere le mani sull’edizione del 2030 o 2034. Il piano è ben preciso: c’è la volontà di replicare quanto visto in occasione della Supercoppa Italiana. Le edizioni saudite si sono contraddistinte per sfarzo e possibilità.
La questione sui diritti è diversa, infatti non sono mancate le polemiche. Sull’altro versante, quello economico, le disponibilità ci sono tutte: Stati Uniti, Canada e Messico – dove si terranno i prossimi Mondiali – sono pronti a dare il loro apporto. Gli arabi, quindi, tornano in pole. Le novità fanno appello a una consuetudine: l’avanguardia passa per l’opulenza, nella speranza che basti questo per arginare pregiudizi e luoghi comuni.
