Roberto Baggio, icona del calcio italiano, ricorda Carlo Mazzone in occasione del documentario sulla sua vita: la dedica speciale.
Roberto Baggio, di tutto, di più. Una carriera sfavillante, nonostante i momenti bui e gli infortuni, e un post carriera ancor più denso. La chiusura apparente con un certo tipo di calcio. Quello urlato, più mediatico e meno concreto: l’avversione per i talk show e le teorie, le etichette e i pregiudizi. Una lucidità quasi sempre disarmante fa sì che la sua voglia di pallone venga espressa nei sorrisi di chi lo conosce e ha avuto la fortuna di allenarlo: uno di questi è Carlo Mazzone. Detto Carletto.
L’uomo ha avuto l’onere e l’onore di riprenderlo a fine carriera. Scommettere su di lui quando non l’avrebbe fatto nessuno. Un azzardo vinto dal tecnico che lo portò anche a pensare di tornare al Mondiale. La Korea, le promesse di Trapattoni e quel tiro mancino al sapore d’illusione che non doveva esserci. Nessuna convocazione: niente Mondiale e addio calcio giocato. Con quel rigore del ’98 stampato negli occhi, ma anche tanto altro da raccontare ai nipoti.
Tutto questo emerge con franchezza e un pizzico di nostalgia in “Come un padre”, docufilm sulla vita di Carlo Mazzone che ripercorre anche una parte della carriera di Roberto Baggio. L’ultima, ma anche – se possibile – la più complessa e importante. C’era una corsa contro il tempo da fare: il Divin Codino ha vinto la propria battaglia, contro l’anagrafe e i pregiudizi, anche grazie a Carlo Mazzone. Come un padre, appunto. “Mi sarei buttato nel fuoco per lui”, rivela Baggio con le lacrime agli occhi.
In pochi istanti tutta la riconoscenza del mondo: profondità e gratitudine non bastano a spiegare il legame viscerale che si era creato. Al punto da spingere personalità del calibro di Pep Guardiola a fare gruppo. Quello che diceva Mazzone era legge: “Palla a Baggio”, il resto è storia. Dirlo ai tempi della Juve e dell’Inter, quando il codino ancora brillava, era facile.
Quasi doveroso. Farlo dopo diventa rivoluzionario e, per certi versi, moderno. Baggio per Mazzone è stato questo: la speranza effettiva che non fosse ancora il momento di chiudere. Ecco perchè Roby – come lo chiamavano a Brescia affettuosamente – non l’ha mai dimenticato e ancora ringrazia le circostanze e la tenacia di un uomo che ha attraversato epoche, ma soprattutto ha toccato anime.
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