Iran, la rivoluzione entra nel vivo. Le forme di protesta in nome di rispetto ed emancipazione collettiva riguardano anche il calcio.
Iran, la resistenza di un popolo contro l’oppressione. Nel nome di Mahsa Amini e le tante donne vittime di oppressione e soprusi. Non è bastato prendere posizione pubblicamente, occorre farlo scuotendo le coscienze e attraverso un colpo all’anima. La situazione è concitata: i cittadini sono sotto scacco, social e mezzi di comunicazione controllati non fermano la voglia di libertà. C’è un problema, l’assetto da guerriglia non consente aperture al dialogo. Solidarietà sì, ma sul piano burocratico la situazione per l’Iran si complica: la questione sono i Mondiali in Qatar.
Nella fattispecie la manifestazione già non comincia sotto i migliori auspici: sponsor e possibilità, ma anche diritti calpestati e sfruttamento. L’altra faccia della Coppa del Mondo. Il lato oscuro della celebrità. Troppe variabili in ballo, ma l’attualità impone alcune riflessioni. Come quella che porta a stabilire la presenza, o meno, dell’Iran alla manifestazione. In tal caso il clima resta contraddittorio: l’Italia, dal canto suo, vorrebbe escludere gli iraniani dai Mondiali di Calcio.
È questa la proposta che arriva da Piero Mauro Zanin, Presidente del Consiglio Regionale friulano, rappresentata da una missiva all’indirizzo del Premier e del Ministro dello Sport dell’imminente nuovo Governo italiano. La faccenda resta ingarbugliata, l’uomo inviterebbe a fare pressioni sulla FIFA. La motivazione sarebbe riconducibile all’indignazione causata dai recenti assassinii e dalle violazioni perpetrate sinora sul territorio iraniano che hanno indotto la resistenza di molti. Una sorta di “punizione” per marcare ulteriormente che l’Italia è al fianco degli oppressi.
Contesto simile a quello dello scoppio del conflitto ucraino: l’Italia (e non solo) vorrebbe mettere un freno a questa barbarie e chiede la stessa sorte toccata agli atleti russi durante le recenti competizioni sportive. L’esclusione totale. Questo andrebbe a intaccare con la situazione generale: le colpe dei sovrani non dovrebbero ricadere su un intero popolo, nella fattispecie gli atleti non hanno nulla a che fare con il conflitto in corso. Pagano una rappresentanza. Per questo sono ancora tante le questioni da chiarire, ma la volontà di lasciare un segno c’è. L’Italia non va in Qatar, ma il modo per far sentire la propria voce lo trova ugualmente.
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