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Sacchi e Pablo Escobar sul tetto del mondo: l’evoluzione del narcofutbol in 90 minuti

Sacchi Pablo Escobar

Sacchi e Pablo Escobar, poli opposti al centro del campo: Milan contro Atletico Nacional de Medellin, ma non è solo una finale di Coppa.

Il pallone tra i piedi è una caratteristica comune tra i bambini, che spesso influenza i grandi: c’è chi la chiama febbre, altri la definiscono passione. Pablo Escobar di passioni ne aveva due: una era il calcio, che praticava fin da bambino, e l’altra erano i soldi. Che portavano, inevitabilmente, al potere: la plata, come veniva definita in Colombia, una ricchezza senza precedenti. Escobar riesce a costruire un impero partendo da Medellin.

Sacchi Pablo Escobar
Sacchi e Pablo Escobar sullo stesso terreno di gioco

Tutte cose che gli appassionati di cronaca nera imparano sulla propria pelle, attraverso libri e ricostruzioni, prima che la storia di Pablo Emilio Escobar Gaviria arrivi su Netflix. La ricostruzione proposta dalla serie Narcos è ottimale, ma per esigenze di copione evita una parte importante che tocca – solo superficialmente – anche l’Italia: quella del narcofutbol. Così l’hanno definito i cronisti: il calcio al servizio del crimine. Pablo Escobar, agli inizi, per contenere i guadagni che riusciva a fare con la cocaina, interrava i soldi nei campi.

Sacchi e Pablo Escobar: il “sodalizio” inaspettato

Erano talmente tanti che, per mascherarli, non bastava riciclarli: aveva puntato tutto sulla compagnia di taxi più piccola della Colombia. Due macchine in dotazione, ma in un mese fatturava quanto una regione a statuto speciale. Cifre da capogiro che non potevano più stare sottoterra. Escamotage che gli è costato persino la galera. Anche a questo è servita la costruzione di quella che gli esperti hanno definito La Catedral: una vera e propria fortezza che Escobar ha messo su quando ha patteggiato.

Stadio Pablo Escobar
Il noto narcotrafficante allo stadio (Screenshot Google)

Una sorta di reclusione di facciata prima del tracollo vero che arriva molti anni dopo. Precedentemente alla pseudo resa, però, Pablo decide di reinvestire i soldi degli stupefacenti nel calcio. Nasce così il narcofutbol. Il primo club “vittima” di questa filosofia fu l’Atletico Nacional de Medellin. Una squadra piena di talenti che aveva la faccia di Escobar ovunque: un’impronta decisiva sul futuro. Le lancette dell’orologio ruotano sino al 27 novembre del 1989: il giorno in cui i colombiani cominciano a risvegliarsi dal torpore. Quella mattina il volo Avianca 203 decolla da Bogotà, sarebbe dovuto arrivare a Cali ma si fermerà molto prima. Pochi minuti dopo la partenza l’aereo esplode a causa della detonazione di una bomba interna a una valigetta.

Moriranno 101 civili, a bordo sarebbe dovuto esserci il principale candidato Presidente alle elezioni del Paese: Cesar Gaviria. L’uomo ha condotto una fervida campagna di repressione con accento sull’estradizione. Due aspetti che non piacevano a Pablo Escobar. Gaviria sopravvisse grazie alla lungimiranza del suo entourage che evitò di fargli prendere l’aereo. Questione di attimi. In quegli stessi istanti l’Atletico Nacional de Medellin vinceva la Copa Libertadores. Traguardo necessario che scagionava – per così dire – Pablo Escobar da qualsiasi coinvolgimento con il disastro aereo.

Il calcio come diversivo: il narcofutbol sotto gli occhi dell’Italia

Un “diversivo” che porta soldi e possibilità. L’Italia, in tutto questo, farà da comparsa: il motivo è Arrigo Sacchi. Mentre Pablo Escobar metteva a soqquadro la Colombia, Sacchi cambiava il calcio giocato con il Milan. Questo fa sì che due persone apparentemente agli antipodi condividano lo stesso terreno per 90 minuti: finale di Coppa Intercontinentale. I rossoneri si giocano il titolo di Campione del Mondo per club con i colombiani pochi mesi dopo quel disastro sulla rotta tra Bogotà e Cali. Sul campo finì 1-0 per Sacchi.

Il Milan s’impose un minuto prima della fine dei supplementari grazie al gol di Evani. Pablo Escobar – in quel contesto – uscì sconfitto. Ma il suo intento era un altro: farsi vedere altrove. Quindi non mancarono le foto al centro del campo con il pallone tra i piedi, scatti che fece anche una volta che i colombiani tornarono in patria (su un aereo diverso) dopo la sconfitta. Gli striscioni al ritorno recitavano “Gracias, patron”. Anche se i familiari delle vittime presenti sull’Avianca 203 la pensavano diversamente. Sacchi ha distratto (e distrutto) – almeno sul campo – Pablo Escobar: le autorità colombiane e americane ci metteranno molto di più, ma quello è un campionato diverso. Senza supplementari e con tante sostituzioni in corso d’opera, dove purtroppo non c’è rivincita.

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