Antonio Conte va via dal Tottenham con tanti rimpianti e qualche retroscena particolarmente intrigante: cosa non ha funzionato.
Antonio Conte lascia senza raddoppiare. Si è verificato quello che lui aveva ipotizzato poco tempo fa: “Mi cacciano prima della fine”. Così l’avventura con il Tottenham finisce tra rimpianti e rimorsi. Ora bisogna ripartire da zero, per dove non si sa: tante le pretendenti, ma prima di guardare al futuro torna in mente il passato. Il retroscena alla Kubrick – con i calciatori chiusi nello spogliatoio e strigliati come un esercito pronto ad andare in battaglia – è rimasto impresso.
Tanto da finire in prima pagina su molti tabloid. La realtà è ben diversa: i discorsi gladiatori, da cinema, quelli che fanno venire i brividi, sono di un’altra epoca. Conte è noto spremere i suoi giocatori come limoni, più volte ha detto che gli Spurs lo seguivano relativamente. Un approccio sbagliato fa più danni di tre partite perse: i punti si riconquistano, la fiducia venuta meno no. Questo sembrerebbe essere successo in Inghilterra, ma non è la prima volta che Conte si ritrova con lo spogliatoio smembrato dopo settimane, mesi, anni di lavoro.
Spreme chiunque fino all’osso: un approccio molto vintage, per usare un eufemismo, che paga relativamente. Il tecnico salentino si è sempre comportato da leader, ora preferisce fare il capo: alzare la voce, in spogliatoio e pubblicamente, bacchettare chiunque – dalla proprietà ai giocatori – mentre la nave affonda. Il Tottenham non rischiava di affogare, ma certamente strigliare i calciatori a spron battuto non ha aiutato a creare la giusta armonia. L’ex Inter ha sempre improntato tutto sulla vittoria: nel calcio moderno, invece, conta la serenità.
Gli allenatori “urlatori” di professione – alla Ciccio Graziani ai tempi del Cervia – non pagano più. Serve un altro tipo di filosofia: quella che insegna ai giocari a rischiare la giocata. Senza sentirsi inadeguati a ogni tocco. L’atmosfera al Tottenham, per ammissione stessa di Conte, era diventata ingestibile. Un allenatore non è un padre, e soprattutto non è un padrone, deve gestire caratteri diversi. Senza imporre un unico credo, ma la giusta visione: Spalletti al Napoli è un esempio in questo.
Ha saputo instillare l’appartenenza a un gruppo completamente ricostruito. Allora la severità – quando c’è – assume un aspetto didattico: insegna, invece di segnare (emotivamente). Gli uomini di Conte – prima o dopo – escono con meno punti e il morale basso. Pezzi che il successore deve raccogliere. La figura del Sergente Hartman va bene in un film, ma il rettangolo verde non aspetta il ciak di Kubrick: servono registi di altro tipo.
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