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Ibra, addio al Milan: perché è stato l’uomo della rinascita

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Simone Filippone

Tutto pronto alla “Last Dance” di Ibra contro il Verona: ecco perché il suo ritorno al Milan ha cambiato la storia del club.

Alzi la mano chi avrebbe detto che sarebbe servito uno Zlatan 2.0 per far tornare il Milan in Champions; alzi la mano chi, con onestà intellettuale, non ha riso quando Ibra per la prima volta due anni fa disse che se fosse arrivato ad inizio stagione, avrebbero vinto lo scudetto, ottenendo scherni e prese in giro sui social.

Ibra, addio al Milan: perché è stato l’uomo della rinascita – (LaPresse, TvPlay)

Eppure aveva ragione lo svedese, perché l’anno dopo il diavolo, con il ritorno di Ibra Kadabra arriverà primo in campionato, tornando ad alzare al cielo il tricolore a quasi dieci anni dall’ultima volta.

L’uomo del destino: ha cambiato il Milan

La scelta che i dirigenti rossoneri fanno nell’inverno di due anni fa è radicale: nella stagione 2019-20 viene sollevato dall’incarico di allenatore Gennaro Gattuso e la squadra viene affidata per l’inizio della nuova stagione a Marco Giampaolo. Il  tecnico che tanto bene aveva fatto alla Samp si vede consegnata una squadra competitiva, con gli innesti di quell’estate che saranno Theo Hernandez, Krunic, Kessie, Bennacer, Rebic, Leao e Andre Silva.

Ibra, addio al Milan: perché è stato l’uomo della rinascita – (LaPresse, TvPlay)

Le cose, però, non vanno come sperato: i rossoneri confezionano la peggior partenza in Serie A da 81 anni a questa parte, con quattro sconfitte nelle prime sei partite.

A ottobre Giampaolo viene già messo alla porta, al suo posto viene chiamato Stefano Pioli, ma la sostanza sembra non cambiare: nelle prime 6 partite con il cambio della guida tecnica, i rossoneri racimolano a malapena 5 punti, poi a gennaio arriva Ibrahimovic.

La sconfitta di Bergamo, con un’umiliante parziale di 5-0, è il crocevia per il cambiamento rossonero: Zlatan torna e segna subito nella vittoria esterna di Cagliari per 0-2, in cui segna anche Leao. Poi il Milan batte l’Udinese e il Brescia nel segno di Rebic, farà tre gol decisivi in due partite.

Con lo svedese solo per uno squarcio di stagione, il diavolo totalizzerà 13 vittorie, 5 pareggi e solamente 2 sconfitte, tenendo una media di 84 punti finali. Il centravanti segna 10 gol e 5 assist giocando appena diciotto partite. Una media surreale.

L’anno successivo va ancora meglio: i rossoneri sognano lo scudetto, ma lo vedono consegnare all’Inter, che li precede di 12 punti. Il Milan dimostra di non esser un fuoco di paglia, tenendo grossomodo la media fatta la stagione precedente, poi è l’anno dello scudetto.

Nel campionato che precede il tricolore, Ibra fa 15 reti e 2 assist, nonostante ne giochi solo 19 per tanti problemi fisici, poi l’apoteosi: la compagine di Pioli sfila il tricolore ai cugini in una lotta all’ultimo punto e vincendolo all’ultimissima giornata. Ibra sigla 8 reti e serve 3 assist, ma tutti decisivi: segna alla Lazio, alla Roma, alla Fiorentina e la sua compagine alza al cielo un trofeo che mancava da un decennio circa.

La stagione che si sta concludendo, però, ha dimostrato che alla soglia dei 42 anni da Ibra non ci si può più aspettare rendimento continuativo sotto il punto di vista fisico: quest’anno ha giocato solo una partita da titolare, per giunta da capitano e facendo gol.

Quella di stasera contro il Verona sarà quindi l’ultima danza di Zlatan, poi capiremo se entrerà in dirigenza o accetterà il canto delle sirene gallianane del Monza, ma è innegabile come l’Ibrahimovic 2.0 abbia cambiato drasticamente la storia di questo Milan.

Simone Filippone

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