Victor Hugo Morales ha parlato di Messi come di un Arlecchino che esalta l’arte dell’immaginazione. Il piano della Francia per fermarlo
Dal Pibe de Oro all’Arlecchino del calcio mondiale. Due immagini che raccontano una storia, un filo rosso, un passaggio di tempo. Raccontano l’evoluzione da Maradona a Messi. Il primo “è dio”, il secondo “il messia” nelle parole di Victor Hugo Morales, il cantore che ha inventato la più iconica delle espressioni per omaggiare Maradona dopo il più iconico dei suoi gol. L’uomo dell’aquilone cosmico scandito con sconfinata ammirazione in diretta dopo il gol del secolo all’Inghilterra ai Mondiali del 1986.
Maradona si è portato dietro un soprannome che era il ritratto di una nazione. Il Pibe è una figura intanto letteraria, simbolo di freschezza e libertà. Portatore di valori che, ha scritto il sociologo Eduardo Archetti, sono di norma “associati all’infanzia, poi persi con l’età adulta. Ma il calcio permette all’uomo di giocare e di restare bambino”. Messi, ha detto Morales, “continua la leggenda di tutto quello che faceva Diego. E’ una benedizione di Dio per il calcio argentino avere avuto questi due giocatori di talento e immaginazione”.
Il concetto di immaginazione, visione più poetica dello scanning di cui ha parlato Guardiola e si è tradotto ai Mondiali nell’assist impossibile a Molina contro l’Olanda, racconta un altro dei fondamenti del calcio argentino. Quel calcio imparato nei potreros, nei cortiletti stretti in cui affinare dribbling sinuosi come le movenze dei tangueros. L’Argentina, sempre sospesa nel calcio tra la “garra” e la “danza”, confida nel suo più immaginativo eroe.
Quel Leo Messi che, nell’analisi di Morales innamorato del teatro di Goldoni, diventa un Arlecchino “che diverte e cerca la bugia nel calcio”. Bugia che è in fondo finzione, vuol dire “correre, fermarsi, correre di nuovo, andare da un lato, fintare e finalmente fuggire tra il difensore e la linea di fondo. La bugia è una forma d’arte”. E nessuno la conosce meglio di Messi.
Messi mette la sua arte al servizio di un’Argentina pragmatica, che privilegia la difesa. In questo, è forte il collegamento con il Maradona del 1986. Anche Carlos Bilardo, il ct del trionfo messicano, aveva costruito una nazionale molto europea, efficiente ma tutt’altro che spettacolare, più vicina al calcio all’italiana che agli standard sudamericani. Tanto è vero che una parte della stampa argentina ne chiedeva l’esonero prima del Mondiale.
Scaloni, l’attuale ct dell’Albiceleste, ha cambiato più volte modulo dall’inizio del Mondiale in Qatar, tenendo però due punti fermi. Il primo è l’assoluto grado di libertà di Messi. Il secondo è il ricorso a sostituzioni molto conservative che hanno reso più volte difficile all’Argentina difendere il vantaggio maturato in precedenza.
Nella fase a eliminazione diretta, Scaloni ha disegnato l’Argentina con il 4-3-3 contro l’Australia, il 3-5-2 contro l’Olanda, il 4-4-2 contro la Croazia. Eppure, la zona di influenza e di azione di Messi sono rimaste di fatto le stesse. L’argentino gravita sul centro-destra dell’attacco, non rientra con la frequenza degli anni migliori, e tocca non più di una sessantina di palloni a partita. Un aspetto che facilita il compito dei compagni, perché sanno sempre e comunque dove trovarlo. Ma può diventare anche un aiuto agli avversari.
La Francia, infatti, proverà a ripetere il principio su cui è basata nello scontro diretto ai Mondiali di quattro anni fa. Ovvero cercare di ridurre i rifornimenti a Messi, bloccando i “cervelli” del gioco argentino, che allora erano Javier Mascherano e Ever Banega.
“L’Argentina spesso non è stata lucida e convincente in questo Mondiale, ma sicuramente dispone di singoli di una immensa tecnica. A volte si piace troppo e tende a specchiarsi troppo” ha detto il giornalista Vincenzo D’Angelo a Tv Play prima della semifinale contro la Croazia.
Parlando a France Football un anno fa, il ct francese Didier Deschamps ha parlato di come aveva preparato la sfida del 2018. Considerazioni utili ancora oggi per provare ad anticipare quale potrebbe essere il suo piano di gioco contro l’Argentina di Messi. “Più si riescono a tagliare le linee di passaggio in mezzo al campo, meno occasioni avrà Messi per avere il pallone tra i piedi e decidere cosa fare. Meno influenza ha in partita, e meglio è – ha spiegato -. Il nostro piano è tagliare i collegamenti tra Messi e i suoi centrocampisti nella fascia centrale“.
Per riuscirci, concludeva, serve sempre una costante presenza di due centrocampisti centrali per schermare le verticalizzazioni e costringere i registi dell’Albiceleste a far girare il pallone verso l’esterno. Inoltre, servirà anche l’aiuto di Giroud, già abituato a difendere sulla trequarti e portare il primo pressing. Ma, si sa, contro l’Arlecchino del calcio mondiale la razionalità potrebbe anche non bastare.
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