Le nuove frontiere del calcio. Lo sport più seguito in Italia si avvale da tempo della tecnologia: Will Still per un binomio possibile.
Il pallone di cuoio, due felpe per fare i pali e vince chi arriva primo a dieci. Il calcio funziona così. In questo modo ce lo insegnano da piccoli. Quando non c’è nient’altro tranne la voglia di giocare. Lo sport più emozionante e magico in Italia, sicuramente molto seguito sia sul piano maschile che su quello femminile. È davvero tutto oro quel che luccica? Fino a un certo punto sì, quando smetti di crederci no. In molti – stavolta cresciuti, non più bambini – fanno del calcio una ragione di vita aprendo la strada al professionismo.
Cominciano i problemi, le aspettative e la realtà diventa più dura. Talmente difficile che il calcio si plasma ad altre dimensioni: non contano più solo gli spazi, ma anche e soprattutto il tempo. Uno sport tanto pratico e fisico si trasforma in una disciplina mentale: una dottrina da seguire che si perde quasi il divertimento iniziale. Cambiano le carte in tavola, ma non la resa. Si gioca secondo altre regole, ma per un fine più grande. Oltre il divertimento c’è anche l’affermazione e gli obiettivi. Altrimenti sarebbe solo un gioco.
Forse proprio da questo punto in poi i giovani cominciano ad allontanarsi: vedono solo il business – che fa gola, ma non appaga – e nient’altro. Di diverso avviso è Danilo Iervolino, il Presidente della Salernitana, l’uomo è intervenuto alla Digital Cup e ha detto una cosa talmente innovativa da essere incredibile anche se piuttosto frequente: “Il calcio ormai si basa sul digitale. I giovani sono tutti lì. È tempo di altri linguaggi”. Il calcio – in altre parole – dopo una certa età non si gioca (più), ma si studia (anche).
La praticità di questo sport viene sostituita dall’intelligenza tattica e, forse, chi si divertiva inizia leggermente ad avvilirsi. O a trovare nuovi stimoli. Chiedere a Will Still che sembra seguire il mantra di Iervolino alla lettera: il 30enne è cresciuto in epoca digitale. Ossessionato dalla realtà virtuale passava le notti su Football Manager: dopo aver finito il gioco sul computer di famiglia in ogni senso è diventato allenatore professionistico in Ligue 1. È in quota al Reims ed è imbattuto: 6 pareggi e 6 vittorie.
Una sicurezza che costa al club 27.000 euro. Il motivo è semplice: non ha ancora il patentino. Lo sta prendendo, ma intanto sembra più bravo e preparato di quelli che hanno imparato sul campo. I giocatori reali vanno gestiti diversamente: non sono macchine. La tattica, tuttavia, non si discute: “Sono molto impegnato – racconta al Guardian – se mi avessero detto che dalla camerata sarei passato alla realtà avrei pensato che fosse una roba da videogioco”. Occhio, perchè adesso niente è come prima: i videogiochi non sono solo un semplice svago, ma diventano un’opportunità. Come la tecnologia tutta. Alla faccia di chi ancora porta il cronometro al collo mentre allena come negli anni ’90. Ora basta un joystick, forse, con tutto quello che significa.
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