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Serie A in crisi, il modello è la Premier League: il piano di Renzi

Serie A in crisi, ma la Premier League si può imitare: il piano di Renzi

“Non capisco perché la Serie A non possa diventare come la Premier League” ha detto Matteo Renzi in esclusiva a Tv Play

La doppia natura del calcio, il capitalismo e la concorrenza nello sport. La questione dei diritti televisivi e della spartizione delle relative risorse è centrale per il futuro della Serie A. Secondo il senatore Matteo Renzi, leader di Italia Viva, la strada è quella della Premier League che trent’anni fa, nel 1992, ha deciso di staccarsi dalla lega inglese. “Il meccanismo però è quello della Premier, il campionato è tirato fino all’ultimo, c’è la sorpresa come il Leicester, ogni partita è uno spettacolo. Vai in qualsiasi stadio nuovo in Inghilterra ed è uno spettacolo, come modello è più simile all’NBA” ha detto in esclusiva ai microfoni di calciomercato.it in onda su Twitch TvPlay.

Serie A in crisi, ma la Premier League si può imitare: il piano di Renzi
Serie A in crisi, ma la Premier League si può imitare: il piano di Renzi (ANSA)

La Premier League è diventato il campionato più ricco e televisto del mondo, il più ambito anche dalle star come Haaland, perché ha saputo aumentare l’appeal del prodotto seguendo due binari: incertezza sul risultato e qualità del prodotto. E questo coinvolge innanzitutto la distribuzione dei ricavi da diritti televisivi.

La Premier, che oggi è la seconda lega sportiva al mondo dopo la NFL a cui i manager delle squadre inglesi guardavano per l’esperienza allo stadio come modello a inizio anni Novanta, suddivide in parti uguali il 50% dei diritti tv per il mercato interno e il totale dei diritti esteri. Un altro 25% dipende dai passaggi televisivi, comunque non meno di dieci per squadra; la parte restante invece si distribuisce in base alla classifica dell’ultimo campionato. Rispetto alla Serie A, inoltre, i tifosi inglesi possono vedere poco più di un terzo delle partite in diretta tv.

Il modello vincente della Premier League

 

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In base a questo modello, dal 1992 ad ogni bando la Premier League ha incassato più del precedente dai diritti televisivi. E in base ai dati della stagione 2021-22 il rapporto tra la squadra che ha incassato di più (Manchester City, 187.2 milioni di euro) e quella che ha incassato di meno (Norwich City, 116,4) si mantiene su un salutare 1,54:1.

In questo modo si salvaguarda l’incentivo alla vittoria, e allo stesso tempo si favorisce l’equilibrio competitivo, un aspetto più importante nell’orientare le scelte del pubblico televisivo che nell’influenzare la presenza dei tifosi allo stadio.

Quello della Premier League è solo uno dei modi in cui si può fissare il punto di equilibrio tra le due nature del calcio come prodotto. Lo sport professionistico, infatti, è insieme un bene di mercato e un bene relazionale. Due elementi che inevitabilmente finiscono per influenzare le televisioni, ovvero la principale fonte di ricavi per le società italiane.

Serie A, le conseguenze della legge Melandri

In Serie A la legge Melandri, entrata in vigore nel 2007, prevede che i diritti tv siano divisi in base a tre criteri. L’ultima modifica, efficace a partire dalla stagione 2021-22, ha mantenuto inalterata la quota del 50% spartita in parti uguali. La quota suddivisa in base ai risultati sportivi è scesa dal 30 al 28%, mentre la parte determinata dal radicamento sociale è passato dal 20 al 22%.

La prima stagione con i nuovi parametri ha contratto leggermente, rispetto al passato, il rapporto fra i più “ricchi” e i più “poveri”. Il divario però rimane molto più elevato rispetto alla Premier, 3,2:1. Spicca un dato: il Norwich, la squadra che ha ricavato meno dai diritti tv in Premier, ha comunque guadagnato 32 milioni più dell’Inter, prima per ricavi da diritti tv in Italia (84,2 milioni).

Renzi a Tv Play: “La Serie A può diventare come la Premier”

 

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La scelta italiana, rispetto a quanto visto in Premier League, è indubbiamente più liberista. Ovvero ha privilegiato nel tempo gli aspetti di bene di mercato del calcio. Un segno del potere dei club più potenti e più ricchi, favoriti dall’introduzione nel 1999 della legge che portò alla contrattazione individuale dei diritti tv della Serie A. Da allora, fino all’introduzione della legge Melandri, ogni squadra contrattava autonomamente per i diritti tv delle proprie partite in casa, di fatto cancellando anche l’identità del campionato come prodotto unico.

Lo scenario attuale, in cui la Lega è tornata a commercializzare i diritti tv della Serie A nel suo complesso, ha rivelato comunque un’ottica di breve periodo nella preferenza, ad esempio, verso l’offerta di DAZN per l’esclusiva su tutto il campionato. I dirigenti delle squadre di Serie A si sono limitati a scegliere l’offerta più alta, finita poi sotto la lente dell’Autorità Garante per le Comunicazioni e dell’Antitrust per i problemi di natura tecnica, i disservizi e i dettagli dell’accordo con TIM.

Anche per questa visione, si sono spesso rivelate impopolari le richieste di norme “salva calcio”, come l’emendamento al decreto Aiuti-quater per spalmare in cinque anni i debiti con il fisco delle squadre di Serie A. Una proposta su cui però è arrivato il parere negativo del Ministero dell’Economia.

Bisogna mettere una regola che le società non gestiscano la Lega Calcio come un condominio, perché si litiga dal mattino alla sera e non va bene, bisogna lavorare per un bene comune – ha detto Renzi a TvPlay -. Non capisco perché l’Italia non possa diventare come la Premier”. Secondo l’ex Premier servirebbero “dei grandi investimenti internazionali, ma devono esserci dei meccanismi su due lati: calcio giovanile, dilettantistico e grandi club”.

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